giovedì 26 aprile 2012

I miei nonni/atrio

Sono in corridoio che mi specchio coi miei jeans nuovi provando ad immaginare io che cammino per strada. Mi staranno bene?
Poi mi volto, richiamato da un passato.
L'atrio di casa vostra è ribassato, l'acqua che resta nei sottovasi produce ancora quell'odore che non riesco, con una penna, a far ricordare.
Ci sono ancora i cactus. Si, sono gli stessi.
Ricordo le guerre coi soldatini, quella giungla/palude era un fortino inespugnabile, gli altri eserciti, tra le piastrelle ed i cuscini decidevano le sorti loro e dei miei pomeriggi.
Gli italiani erano in quella palude, farli arrampicare oltre quel giardino significava esporli al fuoco nemico di alleati e meno.
Li lasciavo trascorrere le ore in quell'atrio a distanza di Dio.
Mangiavo biscotti mentre guardavo Grisù ed al mio ritorno le cose non eran mai come le avevo lasciate, un fantasma, il gatto, una brezza d'aria dalla porta che dava sul retro e qualcosa di scombussolato c'era sempre.
Mi ricordo, i tedeschi erano grigi e mi facevano schifo, ero stato educato a quell'idea lì da voi che li avevate vissuti, con quel cavallo bianco di generale che si prendeva le provviste; mi ricordo "educato e tedesco" ve lo raccontavate nel vostro passeggiare indietro nel tempo.
C'erano australiani e giapponesi, con i secondi non avevo mai troppa fantasia, li usavo per affondare le portaerei, nient'altro; gli australiani non avevo ancora le basi culturali per collocarli all'interno di una contesa. Erano i primi che mandavo a morire, come fanti di scambio nella lenta corsa verso sera. I russi invece erano buoni a giorni alterni, numerosi di numero e coriacei per quanto sagome di plastica possano risultare. I francesi mi stavano sul cazzo, va bè giocare ed essere bambini ma gli omini blu avevano zero credibilità e suscitavano lo stesso pari d'interesse. I grigi italiani se ne stavano, come detto, ben nascosti tra cactus ed azalee, i petali dei gerani o le stelle di natale davan vita alle stagioni ed a scenari esotici.
In tutto questo ambaradan di colori placavo la necessità di fantasia, rapportando in scala di piastrelle, un mondo che mi diventava sempre più piccolo o più grande.
Già da allora capivo che oltre la guerra di vincitori e vinti, la vittoria è di chi rimane.
Poi ho capito che non mi son state regalate armi giocattolo, le uniche guerre me le raccontaste voi, io inscenavo solo ciò che mi veniva raccontato.
Un bacio, vostro nipote Luigi.

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