domenica 29 aprile 2012

L'olmo di nonno Mario

Il cielo di questo tramonto è una tavolozza di colori caldi: rossi, gialli e arancioni si uniscono all’azzurro, sfumando di viola il terso orizzonte della giornata. Indicando un albero, mio nonno mi racconta, celando i ricordi nei brevi silenzi che separano le sue parole, la storia di quella pianta.
"Lo vedi quell'olmo, ogni inverno, sembra che cada in un letargo apparentemente eterno poi, arriva la primavera a destarlo dal sonno, sfiorando il suo tronco e attirando i germogli dai rami con la luce del sole. Le sue estati sono vive e le sue fronde si fanno riparo per i nidi e per gli uccelli di passaggio. E’ stato piantato il giorno della mia nascita, sai. Il tempo prova ad abbatterlo ma lui, in barba agli anni che passano, non molla un colpo".

Doctor Bob

giovedì 26 aprile 2012

I miei nonni/atrio

Sono in corridoio che mi specchio coi miei jeans nuovi provando ad immaginare io che cammino per strada. Mi staranno bene?
Poi mi volto, richiamato da un passato.
L'atrio di casa vostra è ribassato, l'acqua che resta nei sottovasi produce ancora quell'odore che non riesco, con una penna, a far ricordare.
Ci sono ancora i cactus. Si, sono gli stessi.
Ricordo le guerre coi soldatini, quella giungla/palude era un fortino inespugnabile, gli altri eserciti, tra le piastrelle ed i cuscini decidevano le sorti loro e dei miei pomeriggi.
Gli italiani erano in quella palude, farli arrampicare oltre quel giardino significava esporli al fuoco nemico di alleati e meno.
Li lasciavo trascorrere le ore in quell'atrio a distanza di Dio.
Mangiavo biscotti mentre guardavo Grisù ed al mio ritorno le cose non eran mai come le avevo lasciate, un fantasma, il gatto, una brezza d'aria dalla porta che dava sul retro e qualcosa di scombussolato c'era sempre.
Mi ricordo, i tedeschi erano grigi e mi facevano schifo, ero stato educato a quell'idea lì da voi che li avevate vissuti, con quel cavallo bianco di generale che si prendeva le provviste; mi ricordo "educato e tedesco" ve lo raccontavate nel vostro passeggiare indietro nel tempo.
C'erano australiani e giapponesi, con i secondi non avevo mai troppa fantasia, li usavo per affondare le portaerei, nient'altro; gli australiani non avevo ancora le basi culturali per collocarli all'interno di una contesa. Erano i primi che mandavo a morire, come fanti di scambio nella lenta corsa verso sera. I russi invece erano buoni a giorni alterni, numerosi di numero e coriacei per quanto sagome di plastica possano risultare. I francesi mi stavano sul cazzo, va bè giocare ed essere bambini ma gli omini blu avevano zero credibilità e suscitavano lo stesso pari d'interesse. I grigi italiani se ne stavano, come detto, ben nascosti tra cactus ed azalee, i petali dei gerani o le stelle di natale davan vita alle stagioni ed a scenari esotici.
In tutto questo ambaradan di colori placavo la necessità di fantasia, rapportando in scala di piastrelle, un mondo che mi diventava sempre più piccolo o più grande.
Già da allora capivo che oltre la guerra di vincitori e vinti, la vittoria è di chi rimane.
Poi ho capito che non mi son state regalate armi giocattolo, le uniche guerre me le raccontaste voi, io inscenavo solo ciò che mi veniva raccontato.
Un bacio, vostro nipote Luigi.

giovedì 19 aprile 2012

Forse

Forse non dovresti essere qui, ora.
Forse ci sono fatti che si stanno svolgendo e che non aspettano altro di avere te fra le loro azioni, se consideri la vita come un film, o fra gli atti se è il teatro a personificarti.
Forse delle persone ti stanno aspettando e si chiedono cosa ti trattenga dal raggiungerle. Potrebbero preoccuparsi o, essere sollevate dal tuo tardare, queste ultime, in realtà, forse, sono anche speranzose nel fatto che tu non arriverai a destinazione.
Forse, ora che sei arrivato qui con la lettura, sta passando la tua occasione proprio sotto casa.
Non sentirti al sicuro tu che hai la tecnologia per leggere ovunque, sei comunque distratto. La tua attenzione è su di uno schermo. Alza gli occhi, quella è la tua chance che se ne sta andando.
Forse vorresti almeno leggere di una storia avvincente che ti porti in un solo respiro alla fine del testo.
Forse vorresti trovare fra queste righe dei personaggi da immaginare, ma oggi è grigio il cielo. Del suo colore non incolpare lo smog e l'inquinamento in generale. Oggi, è uno di quei giorni in cui l'azzurro non ha altro che un impermeabile grigio da indossare. Sa che le nuvole non tarderanno a far piovere. Così lui si è vestito e ora è pronto a farsi scivolare, fra le pieghe del suo abito plumbeo, le gocce di pioggia che bagneranno stanche il cammino di quella occasione che ti dicevo prima, proprio quella che ti ho costretto a mancare per poco.

Io non ho avuto altro balenamento che trascorrere il tempo scrivendo dei forse che, probabilmente, hanno dato una risposta a quel senso di fumosa certezza che si prova in questi giorni, quando il cielo deve sbrigare i suoi affari e tu lo vedi passare vestito del suo impermeabile grigio.

Doctor Bob

Non ha senso, credo

caffè caldo è un'idea. caffè caldo e un'idea. che ti vada di traverso. oppure rovesciarlo nel secchiaio, leggerci attraverso, come un libro d'inchiostro simpatico, come una lastra in controluce. riluce un pianto, qualcuno si sveglia. rumore. che ore sono? vattene.
blablabla, esercizi di stile. mancanze/aporie
frollini secchi, il caffè fa schifo, il caffè lascia l'odore di se nel secchiaio.
il caffè fa schifo, esco a fare colazione. forse, anche no.
il caffè è un'idea. sigaretta. fanno tre. ogni frase è buona ogni pensiero stronzo, chi sei, che fai?
lavori in torrefazione? seguimi. non parlare/non fare colazione, che ore sono? io?
caffè, biancoenero, se non è latte non ci giurerei. caffelatte, un' idea tra tante idee, non la stessa idea. palliativi/anestetici hai da fumare? rido.
non fumo, dita gialle/accendino dove sono, sono parole, parole sole, ogni tanto piove, piangi, se ne accorge nessuno, forse il vento se ti asciuga, se non fa freddo.
mangia qualcosa, non stai in piedi, e se cadi?
arpeggi di melanconia, passa un'altra canzone, perso titolo, perso l'autore, lezioni di poesia, scrivi parole, deprimiti/rilanciati prenditi per gioco.
esco col cane, ho anche il sacchettino con la merda, se poi la fa non la raccolgo, se mi ferman gli sbirri rido, cerco di nasconder l'involucro, non hanno fantasia, s'inventeran un reato: millantatore di buoni sentimenti. fanculo.
che fa? gira con la merda?
guardi, non offenda il mio cane!
dicevo a lei.
non vedo nessuno...conti in sospeso, reiterate alterità. silenzi vuoti di pensieri.
odore di soffritto a quel balcone, ci autoinvitiamo, ho le sigarette.
c'è nessuno, c'è mai nessuno, il soffritto iberna tempo e spazio e continua nel buon odore senza mangiare ed essere mangiato. anche il soffritto mangia, l'ho visto. mai fidarsi.
che ore sono? scusagraziegraziescusa, linguaggi binari, da viverci e semplificare. non ho tempo tantomeno ore.

questa nota è un gioco, un gioco che m'ha stancato, la chiudo. mozzicone nella tazzina, caffè nel secchiaio, punto e tasto invio.

Mister Gigiuz

lunedì 16 aprile 2012

Con la sensazione che senza azione

I miei pensieri disegnano il paesaggio che scruto, e i miei limiti tracciano la linea dell’orizzonte di questa notte. Saltella, inciampando di tanto in tanto, un’idea. Ogni volta che cade, si rialza e ricomincia a rimbalzare più in alto di prima. Non so dove abbia cominciato e dove finirà il suo moto e, se dovessi chiederglielo, nemmeno lei saprebbe rispondermi, ne sono sicuro. Così, non la disturbo e la lascio libera di girovagare fra le trame dei miei pensieri.
Che strana notte, questa.

Bob

lunedì 9 aprile 2012

V'erano tragitti di conquista

i suoi passi cercavan, metri su metri, terreni sempre diversi, era un modo per sentir meno la noia, indotta da un camminare strade diritte che finivan col stancargli l'incedere, verso un punto che aveva fissato un po' più oltre le sue forze.

a volte pestava merde, non riusciva tuttavia, in nome di ciò, a reputarsi fortunato, fortunati lo si è all'occorrenza, ci vuole una certa predisposizione.

mettere un piede in fallo, non era altro che il suo procedere un po' trasognante, aveva sempre avuto una certa predisposizione ai cieli quanto agli errori.

camminava e sorrideva, e sportivamente accettava il fatto di trarne, unicamente un benessere mentale piuttosto che psico-fisico.

se ne tornava a casa con nuovi acciacchi, pensieri, tante parole che duellavan nella sua testa come solo san duellare impegni e bagordi, una volta nuovamente alla ricerca di quell'equilibrio dinamico che i suoi passi avevan dimenticato.

ed incespicava nel tempo occorso, un'altra mattinata era stata cammino, tempo perso non era.

aveva volontà di potenza, sapeva i limiti che non lo portavan fino alla metà.

tabacco, lento, nessuna scusa gli era rimasta.


Mister Gigiuz

domenica 8 aprile 2012

Radici di un uomo

Aveva un grosso sorriso in faccia e un cappello di paglia intrecciata sulla testa.
Il suo incedere era sicuro nonostante non avesse le scarpe. Non le indossava mai poiché così facendo, diceva sempre, il suo spirito trovava nutrimento dalla terra, grazie alle piante dei suoi piedi nudi.

Doctor Bob

sabato 7 aprile 2012

Dentro il calice buono

non è un perder tempo,
me ne capacito,
non chiedo perdono.

e tra pensieri e imperfezioni
stendo colori.

ma senza tela
d'un ragno mi servo,
a poca distanza da me,
prendo in prestito,
dipingo parole.

e s'infittisce
il dedalo
dei passi esausti
come le strade di ieri
in nuovi paradigmi.

in premure silenziose,
nel rubino riflesso
di qualcosa di buono,
il mio calice buono.

Mister Gigiuz

venerdì 6 aprile 2012

Perso in un bicchiere di vino

Le vostre dita sono preziose e i vostri ricordi sono ancora piacevoli compari di bicchiere quando, come adesso io mi trovo , bevete soli con voi stessi. Permettetemi di  proseguire il mio cammino per questa strada popolata di fantasmi. Firmate, con la mano che vi conviene, la mia libertà, non la vostra caduta. Troverò nemici capaci di sporcarsi le mani col mio sangue al posto vostro, branco di scribacchini. 

Doctor Bob

giovedì 5 aprile 2012

Chiedo tempo, son della razza mia

...m'impersonai nelle mie stesse lacrime, kronos e kairos, fin tanto satolli d'io, si sfidarono in una contesa degna di un Sergio Leone...non v'erano pistole e canne fumanti, le invettive dialettiche ferivano, più nell'orgoglio, che nella corazza dei fisici. quantistici erano i miei sbadigli, le ore solari si riappropriavano dei nostri modus operandi, i bei visi col sole, gli equilibristi di Nietzsche, al calar delle ore.

e vivo.

posso esser il più vile tra tutti gli eroi, fiero, senza mischiarmi a chi, al pulir culi preferisce un'arma col silenziatore...posso esser io, perennemente anticipato dai miei occhioni che ti promettono pace, misericordia ed impegno. sarò io, coi miei valori ed i miei lauti margini d'errore, ed ancora brindo, a me, come a tutti voi. mascherando, premurosamente, quel "tutti", quel "voi".

Mister Gigiuz

L'orologio

Entrò nella mia esistenza come tutte le cose della vita. All’inizio, fu il piacere di conoscere che mi guidò ad accoglierlo. Seguì il processo di consapevolezza per ciò che era e che rappresentava, consapevole che non sempre sarebbe sembrato equo nel suo scorrere. L’ultimo passo fu di stringere quei silenziosi patti che regolano la convivenza fra l’uomo e la sua dimensione, il tempo.

Doctor Bob

Senza filtro di comprensione e con il tabacco sulle labbra

Cammino, con la notte che si fa alba di una primavera, verso il silenzio interiore, indenne alle distrazioni del mondo; in bilico su un filo trasparente come la rugiada della mattina presto. Sicuro nelle mie momentanee risposte.
Lento è il mio incedere in una strada di radici; un silenzioso eco in una conchiglia di brusii. È un profondo passo in cui inabissarsi; un gioco al rilancio contro me stesso. I miei occhi da sognatore scrutano della natura gli orizzonti e risiedono nel battito di un cuore che non è il mio.
L’uomo s’interroga su quale sia il senso della vita mentre cerco risposte con cui tracciare della mia esistenza la sua direzione.

Doctor Bob

senza filtro di comprensione, tabacco sulle labbra

cammino trascinando stanco il "bellessere", senza cazzi per addomesticar la lettura altrui di virgole che lascian respirar pensieri senza prendersi le pause dovute tra momenti indissolubilmente catartici e apogei d'ire di sincero viver. metto un punto giusto per riformular pensieri, dell'ieri che ci rende pittori oggi, senza gallerie d'arte per riconoscer vanti, pentimenti e arti. e mi nutro della stima, che, come tributo, fascinosamente, stima che ricevo, e m'adombro nei silenzi della primavera in cui caotiche grida provan, inconsce, a rovinar le chiavi di volta, ritrovate di quest'esistere, perché me lo confermi che "ho ucciso paranoia".

trovo godimento, nel dare senza tornaconto e mi firmo, antidoto e tormento, degli stessi mali, dello sputtanarsi per troppi cc d'alcool, girovagando nella catarsi dei momenti, quando primavera è un tempo, dato, che riconosci in un volto, che assapori in un pianto. e ho sviato il tempo del perder tempo, dietro, chi tempo, tempo perder mi reca, senza assoluzione di sosta per chi mostra, reputa, un decadimento di rapporti, di te che solo mostrarti, per l'appunto assecondi, senza nemmeno sapere, cosa significa, provar gioia, per un sorriso regalato, in un prato, in una seconda corsia, salutare quanto salvica via, e blablabla, forse un poco a ritroso, circumnavigando, quanto più oso esser astioso, più per gioco, esercizio di stile, incurabile male, dei "quattro umori" teoria della bile. e non v'è pena per chi decide d'esser, niente più, niente meno, dello stesso disincanto che ci rende simili, folli, mai domi, quanto caparbi pittori. e bevi meno che sei più simpatico, meno accidioso, ugualmente stra-ordinario...

Mister Gigiuz